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Meno di un italiano risparmia per la pensione

Una ricerca di Moneyfarm e Progetica lancia l'allarme: nonostante le ben note difficoltà del sistema pubblico, ancora pochi ricorrono a strumenti di previdenza complementare. E le pensioni del futuro, almeno in alcuni casi, non arriveranno alla metà dell'ultimo stipendio

Meno di un italiano su quattro sta risparmiando per la propria pensione. Appena il 23% della popolazione sta versando contributi in un qualche strumento di previdenza complementare. E le pensioni del futuro, almeno in alcuni casi, non arriveranno alla metà dell'ultimo stipendio percepito. L'allarme arriva da una recente ricerca realizzata da Moneyfarm in collaborazione con Progetica, primo passo di un'iniziativa di educazione finanziaria e previdenziale che proseguirà fino ai primi mesi del 2021. E che ribadisce tutta la precarietà del nostro assetto previdenziale: gli italiani non stanno facendo abbastanza per assicurarsi una vecchiaia in linea con il proprio stile di vita.
A destare le prime preoccupazioni è senza dubbio il pilastro pubblico. Nel 2020 la spesa pensionistica è arrivata al 17% del Pil, toccando un livello che, almeno stando a una serie di stime realizzate dieci anni fa, avrebbe dovuto essere raggiunto nel 2045. In pratica, quest'anno abbiamo speso quello che avremmo dovuto spendere fra venticinque anni. Quota 100 e coronavirus, come ha recentemente rilevato anche l'Ufficio Parlamentare di Bilancio, hanno senza dubbio contribuito ad accelerare la progressione della gobba pensionistica. Ma non basterà certo superarle per rassicurare sulla tenuta di un sistema che, come testimoniano anche le numerose riforme varate negli ultimi decenni, non sembra aver mai brillato troppo per sostenibilità a lungo termine. 

A ciò si aggiunge poi il fatto che, con il definitivo passaggio al sistema contributivo, le future pensioni saranno probabilmente meno generose che in passato. La ricerca, a tal proposito, ha elaborato lo scenario pensionistico di un campione fatto di circa 3,2 milioni di persone, pari a poco più del 5% della popolazione nazionale. Ebbene, per quel 44% di occupati presi in considerazione, la prospettiva è quella di andare in pensione con un assegno medio di 1.337 euro al mese, valore compreso fra i 1.227 euro previsti per le donne e i 1.560 euro per gli uomini. Potrebbe andare peggio? Sì, perché l'analisi sottolinea come le stime siano addirittura ottimistiche rispetto al reale andamento del mercato del lavoro: le previsioni ipotizzano infatti una continuità lavorativa da 25 anni fino alla pensione e si basano unicamente sull'andamento reddituale dei lavoratori dipendenti, escludendo di fatto categorie, come lavoratori pubblici e autonomi, che percepiscono solitamente redditi inferiori e avranno di conseguenza pensioni più basse. L'analisi non tiene inoltre conto di eventuali modifiche legislative, cosa non scontata considerate le pressioni che, come visto, gravano ancora sul sistema previdenziale pubblico.

Il tasso di sostituzione appare destinato a colare a picco per le nuove generazioni: se un sessantenne di oggi può sperare di andare in pensione con il 71% dell'ultimo stipendio, una donna di trent'anni avrà un assegno previdenziale che non raggiungerà nemmeno la metà dell'ultima busta paga (48%). L'unico modo di integrarlo è fare ricorso a una qualche forma di previdenza complementare. Ma la pratica, come già accennato, non risulta così diffusa. Solo il 31,7% dei lavori presi in considerazione dall'analisi risulta iscritto a un fondo pensione e riceverà mediamente un'integrazione al reddito di 371 euro al mese: calcolatrice alla mano, fa un assegno complessivo di 1.708 euro. Per i giovani le cose potrebbe essere migliori, visto che il fattore tempo conta moltissimo negli investimenti a lungo termine e che un trentenne di oggi che ha già iniziato a versare contribuiti potrebbe ottenere un reddito integrativo di 765 euro al mese. Peccato però che solo il 25% dei giovani lavoratori abbia già un fondo pensione.