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L'empatia dei robot

Un esperimento della Columbia University ha aperto alla possibilità che anche una macchina possa riuscire a mettersi nei panni di qualcun altro: l'evidenza potrebbe costituire la prima scintilla di una capacità che, almeno fino a poco tempo fa, era considerata prerogativa dell'essere umano

In psicologia si chiama teoria della mente. Nel linguaggio colloquiale si definisce più semplicemente empatia. Descrive la capacità di attribuire stati mentali a se stesso e agli altri, modulando il proprio atteggiamento sulla base dei presupposti emersi attraverso l'osservazione di un comportamento manifesto. Per decenni è stata considerata una prerogativa dell'essere umano, al massimo di qualche specie di grande scimmia come oranghi, scimpanzé e bonobo. Adesso però un esperimento della Columbia University apre a scenari completamente nuovi: anche i robot possono essere capaci di empatia.
L'esperimento è stato descritto in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Scientific Reports. Nella simulazione un robot, collocato all'interno di un recinto, è stato incaricato di individuare e dirigersi verso dei cerchi verdi. Non tutti i cerchi erano però visibili: alcuni restavano nascosti dietro uno scatolone di colore rosso. Il robot, come facilmente intuibile (almeno per noi esseri umani), era dunque spinto a dirigersi verso i cerchi più visibili, ignorando quelli esclusi dal suo campo visivo. Nel frattempo un altro robot ha osservato l'esperimento per circa due ore. Collocato al di sopra del recinto, il secondo robot ha avuto la possibilità di rilevare chiaramente la distribuzione di tutti i cerchi e di osservare, allo stesso tempo, il comportamento del suo partner. Ebbene, stando ai risultati della ricerca, il secondo robot è stato in grado di predire le azioni del collega con un'accuratezza del 98%. “La capacità del robot osservatore di mettersi, per così dire, nei panni del suo partner e di capire, senza essere guidato, se quest'ultimo avesse o meno la possibilità di vedere il cerchio verde, è forse una forma primitiva di empatia”, ha commentato Boyuan Chen, uno degli autori dello studio. A stupire i ricercatori è stata soprattutto la capacità di predire le azioni a lungo termine del partner con l'ausilio di pochissime immagini.

Verso una più stretta collaborazione tra uomo e macchina
L'esperimento rientra in un più ampio progetto di ricerca volto a infondere nei robot la capacità di prevedere il comportamento di altre macchine e, potenzialmente, anche di esseri umani. I ricercatori hanno ammesso che l'attività di un robot in fase di esplorazione è molto più semplice ed elementare di quella che potrebbe svolgere un essere umano in un contesto non controllato: una macchina in grado di predire il comportamento umano è dunque ancora fantascienza. Tuttavia, stando ai risultati della ricerca, non si può escludere che anche un robot non possa sviluppare una sorta di teoria della mente. Ed eventuali nuovi approfondimenti, nella speranza del team di ricerca, potranno consentire agli scienziati di sviluppare macchine sempre più sofisticate. Il risultato potrebbe essere una nuova generazione di robot in grado di comprendere le esigenze dell'essere umano e, di conseguenza, di sviluppare una ancor più stretta collaborazione fra uomo e macchina. Antonio Frisoli, professore ordinario della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, ha affermato all'Ansa che la possibilità di prevedere azioni future “è una capacità in grado di migliorare significativamente la sintonia e il livello di interazione naturale di un robot con un umano, dal momento che la barriera linguistica viene superata nell'esecuzione di compiti nei quali, ad esempio, è necessario un coordinamento o un accordo reciproco”. In futuro, ha proseguito, “possiamo immaginare robot in grado di assecondare le nostre azioni in modo collaborativo ed efficace”.

Gli interrogativi di natura etica
Tutto bene, dunque? Non proprio, a detta degli stessi autori dell'esperimento. Perché se è vero che l'empatia può consentire di costruire un rapporto di collaborazione, è anche vero che la capacità di predire le azioni altrui è alla base di attività ostili come l'inganno. E se un robot è potenzialmente in grado di ingannare una persona, chi può escludere che non venga utilizzato per attività criminali? La domanda pone un'enorme questione di natura etica. “Fino a che punto un robot deve essere in grado di prendere decisioni autonome sulla base di una sua predizione? Può inoltre un robot, nell'anticipare il pensiero dell'uomo, manipolare l'uomo stesso e non essere più il mero esecutore di compiti?”, si è chiesto Frisoli. “Sono tutti aspetti – ha concluso – che meritano una riflessione attenta di tipo roboetico e filosofico”.