Dipendenza energetica, la zavorra che frena la ripresa europea
Oltre a una generale ondata di indignazione, la scoperta dell’orribile massacro compiuto dall’esercito russo a Bucha, nei pressi di Kyiv, ha anche riportato al centro del dibattito nell’Unione europea il tema delle sanzioni nei confronti della Russia. Ulteriori sanzioni significherebbero inevitabilmente andare a toccare le forniture di energia, vale a dire il grande nervo scoperto di molti paesi europei, in primis Germania e Italia. Finora soltanto la Lituania ha fatto la scelta perentorea di fare a meno del gas russo.
Ma fino a che punto è possibile divorziare dall’energia proveniente da Mosca? Secondo Margherita Bianchi dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), nonostante i tentativi (più o meno riusciti) di diversificazione, “il ruolo dominante della Russia nei mercati europei del gas è l’evidente risultato di diversi fattori, tra cui il declino della produzione interna di gas dell’Ue”. Nel 2021 la Russia forniva il 45% delle importazioni di gas all’Europa. L’Ue compra anche carbone e petrolio da Mosca, ma è particolarmente vulnerabile alle importazioni di gas per via della maggiore regionalizzazione dei mercati del gas rispetto a quelli del petrolio. Si stima che, complici anche gli attuali prezzi, l’Unione europea versi nelle casse russe circa un miliardo di euro al giorno per il proprio approvvigionamento energetico.
Gas, lavori in corso nell’Unione Europea
Secondo Bianchi, “a prescindere dall’esito della guerra è però difficile pensare che l’UE possa sentirsi sicura a restare così dipendente dal gas russo. I progressi verso le ambizioni net zero porterebbero comunque l’Ue a ridurre l’uso/importazione di gas nel tempo, ma la crisi attuale solleva domande specifiche su ciò che si può fare oggi per limitare drasticamente i legami con il Cremlino. Questo non significa necessariamente che in futuro non avremo alcun legame energetico con la Russia, ma è evidente che al momento si tenta di trovare la strada per accelerare il divorzio da Putin”.
L’analista dello IAI cita il programma REpowerEU, pensato per ridurre drasticamente fino a rompere (entro il 2027) il legame energetico con Mosca. “Il piano – spiega Bianchi – sarà dettagliato a maggio ma sembra ricalcare le priorità chiave messe in campo dall’Ue ben prima della guerra: la riduzione dell’utilizzo di fonti fossili e un’accelerata del Green Deal Europeo – quest’ultimo percepito più chiaramente che mai come la migliore strategia di sicurezza energetica oltre che ‘soltanto’ come una visione per un’economia europea sostenibile. Riconoscendo il doppio vantaggio della decarbonizzazione, molti stati membri hanno riaffermato con forza il loro supporto alla transizione green in questi giorni, e auspicabilmente questa crisi porterà almeno a un più forte consenso politico sull’azione climatica”.
La geopolitica del petrolio
L’invasione dell’Ucraina ha aggiunto un fattore geopolitico ai prezzi del petrolio, già aumentati a causa dell’incremento della domanda mondiale seguito alla ripresa economica post-pandemia. Il 7 marzo scorso il Brent ha sfiorato i 140 dollari al barile, un valore che non si vedeva da prima della crisi finanziaria del 2008. Massimo Lombardini, esperto di energia per l’Ispi, ricorda sul sito dell’istituto che l’Agenzia Internazionale dell’Energia nel suo Oil Market Report di marzo ha paventato il rischio della più grande crisi degli approvvigionamenti petroliferi degli ultimi decenni. “Anche se la rilevanza della Russia nel settore energetico è generalmente associata al suo export di gas – spiega Lombardini – il Paese è, dopo gli Stati Uniti, anche il secondo produttore mondiale di petrolio. Tuttavia, mentre la produzione statunitense è prevalentemente destinata al mercato interno la Russia, con 8 milioni di barili al giorno, è il più grande esportatore mondiale di petrolio e prodotti raffinati”. Il gigante euroasiatico gioca quindi un ruolo vitale nell’approvvigionamento energetico su scala globale e una diminuzione anche parziale del suo export avrebbe serie implicazioni per l’economia mondiale.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha indicato che nel mese di aprile fino a 3 milioni di barili di petrolio russo potrebbero scomparire dai mercati creando uno sbilanciamento fra domanda e offerta che dovrebbe essere compensato velocemente da altri produttori. Secondo Lombardini, la riduzione di tre milioni di barili di petrolio al giorno (il 3% della produzione globale) “potrebbe sembrare limitata, ma è importante sottolineare che il prezzo del petrolio è sensibile a variazioni anche ridotte della domanda o dell’offerta. Fra il 1973 e il 1974, infatti, l’embargo dei Paesi arabi dell’Opec in seguito alla guerra del Kippur generò una riduzione dell’offerta di 4 milioni di barili facendo quadruplicare il prezzo da 3 a 12 dollari. Alla fine dello stesso decennio, in seguito alla rivoluzione iraniana la produzione si ridusse di circa 5 milioni di barili facendo schizzare il greggio sopra i 40 dollari”.
La conclusione di Lombardini è che “la mancanza di greggio e prodotti raffinati russi può essere compensata rapidamente facendo ricorso agli stock petroliferi che però non potranno far fronte a sbilanciamenti di lungo termine fra domanda e offerta”.