Argentina, la gioia dei Mondiali e la zavorra dell’inflazione
Mauro Marcos, ventiquattrenne di Jujuy, estremo nord dell’Argentina, si è ritagliato una piccola fama online perché si diverte a disegnare personaggi dei cartoni animati su vecchie banconote, per poi condividere le sue creazioni sui social. Iniziato il mondiale di calcio in Qatar ha deciso di cambiare soggetto e raffigurare Lionel Messi su una banconota da 10 pesos (circa 5 centesimi di euro al cambio attuale). Come sappiamo la nazionale argentina ha poi vinto il mondiale, Messi è diventato il campione più acclamato e i video di Marcos che dipinge la sua banconota-tributo sono diventati virali, tanto da attirare diverse offerte economiche: quella banconota è arrivata a valere più di 60mila pesos (poco più di 300 euro).
Se la vittoria dell’ambito trofeo della Fifa potesse avere un simile immediato effetto sulla valorizzazione della moneta nazionale, l’Argentina avrebbe di colpo risolto buona parte dei problemi che la affliggono da tempo. Purtroppo la realtà è molto meno romantica. Secondo i dati appena pubblicati dal governo di Buenos Aires, infatti, nel 2022 l’Argentina ha registrato il tasso di inflazione annuo più alto degli ultimi 30 anni. I prezzi al consumo sono aumentati del 94,8% a dicembre rispetto allo stesso mese del 2021. Rispetto a novembre 2022, i prezzi sono aumentati del 5,1%, con una nuova accelerazione dopo il raffreddamento in tre degli ultimi quattro mesi. L’iperinflazione costringe la Banca centrale a tenere i tassi di interesse al 75%. La corsa dei prezzi potrebbe spingere l’inflazione oltre la soglia del 100% nei prossimi mesi e sarà al centro della campagna elettorale per le presidenziali di ottobre.
Se vale più il metallo che le monete coniate
La perdita di valore del peso argentino è così evidente che le monete metalliche sono arrivate a valere meno del valore dei materiali usati per realizzarle. Lo scorso marzo, infatti, la Banca Centrale Argentina ha quindi sospeso il conio delle monete. Una decisione inevitabile se si pensa che, nel 2022 sono cominciate a sorgere vere e proprie organizzazioni impegnate a raccogliere le monete per poi fonderle e venderne il risultato, dato il forte aumento del prezzo delle materie prime metalliche.
Non stupisce quindi che il governo argentino stia valutando il conio di banconote di taglio maggiore, che potrebbero essere quelli da 2mila, 5mila e 10mila pesos. È stato calcolato che una banconota da 100 pesos del 2019 per effetto dell’inflazione oggi ne vale 586. Al cambio attuale 1 peso argentino equivale a 0,005 euro, e al momento, le banconote di pesos arrivano al taglio massimo di 1.000 che, effetto dell’aumento dei prezzi, corrisponde a poco più di 5 euro. Al momento il paese latinoamericano è tra i tredici stati del continente quello che ha la banconota di massimo taglio che meno vale rispetto al dollaro. In Cile, per esempio, la banconota da 20mila pesos vale oltre 22 dollari, mentre quella da mille pesos messicani è pari a circa 51 dollari.
Nove dichiarazioni di default: un record
Più in generale, i problemi economici sono molto seri per l’Argentina, che è di fatto fallita per nove volte nella sua storia, più di qualsiasi altro paese al mondo: l’ultima volta è successo nel 2020, quando non è riuscita a ripagare in tempo i debitori. Il paese non ha più accesso ai fondi internazionali, ha un debito di oltre 40 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e sembra vicina a esaurire le proprie riserve monetarie. Inoltre il 36% della popolazione vive in condizioni di povertà.
A causa dell’impossibilità di finanziarsi sui mercati, il governo ha cominciato di nuovo a stampare moneta provocando un aumento dell’inflazione, che ha finito per danneggiare cittadini e aziende. Il governo era stato costretto a ristrutturare il debito, cioè a modificare le condizioni per la sua restituzione, prima con i privati e poi, all’inizio del 2022, con il Fondo Monetario Internazionale: l’accordo con l’FMI sospendeva la rata da 700 milioni di dollari che il governo avrebbe dovuto restituire a breve, e congelava i futuri pagamenti, in cambio della riduzione graduale, da parte dell’Argentina, del proprio rapporto tra deficit e PIL, dal 2,5% allo 0,9% nel 2024.
Soprattutto dopo il fallimento del 2001, che portò il paese al collasso, l’Argentina sembra vivere in uno stato di perenne crisi, con qualche momento di respiro dato dai prestiti internazionali (e dai campionati di calcio) più che da una reale soluzione alle storiche criticità. Il rapporto degli argentini con il denaro è strettamente legato al dollaro. I prezzi degli immobili, delle automobili e di altri beni mediamente costosi vengono da tempo indicati con la valuta americana. Nel paese esiste un cambio ufficiale con il dollaro e uno clandestino, definito dólar Blue, quasi doppio rispetto a quello ufficiale e completamente sdoganato, con tanto di quotazioni sui giornali.
Un buy-back nazionale
Il debito è chiaramente il fardello più pesante che zavorra le possibilità di sviluppo dell’Argentina. Per questo il governo del presidente Alberto Fernandez, e in particolare il ministro dell’Economia, Sergio Massa, ha annunciato l’avvio di un percorso di riacquisto di titoli per più di un miliardo di dollari. Lo scopo, ha sottolineato, è quello di “riportare attivamente il paese nel mercato dei capitali”. La misura pensata dal ministro Massa (preventivamente discussa e approvata dal Fondo monetario internazionale) si inserisce soprattutto in un’idea di riduzione del debito e di riduzione del rischio paese. Su questo, il primo segnale dei mercati è positivo, a cominciare da Jp Morgan che ha ‘scontato’ 77 punti all’Argentina.
Nella giornata di mercoledì 18 gennaio, il rischio paese dell’Argentina si è attestato a 1.807 punti base, manifestandosi nel livello più basso dal 25 luglio, quando ha sfiorato i 3.000. L’idea di Sergio Massa è quella di coinvolgere anche il settore privato, rivendicando “l’intenso lavoro nella normalizzazione dell’economia del paese nel processo di ripresa del prodotto interno lordo, del mercato del lavoro e dei consumi”. Di questo percorso il ministro dell’Economia sottolinea l’aumento delle riserve ufficiali grazie anche alle misure sull’export, in alcuni settori conseguendo record di vendite all’estero.
I titoli interessati dall’operazione sono principalmente quelli con scadenza al 2029 e 2030 e Massa ha fatto sapere che seguiranno altre misure per consentire all’Argentina “di riacquistare un ruolo partecipativo nel mercato dei capitali”. Secondo indiscrezioni, si potrebbe arrivare a un totale di 6 miliardi di dollari. Dal canto suo, il Fondo Monetario ha segnalato che quello appena inaugurato non è uno strumento in grado di garantire, da solo, grandi effetti ma è tuttavia positivo se inserito in un piano più ampio.