Il valore della reputazione
All’identità di un brand, che è la somma di tutti gli attributi intangibili con cui l’azienda identifica sé stessa, è strettamente legata la reputazione del marchio, cioè la sua percezione, l’immagine mentale che di esso hanno i consumatori e il mercato. Diversamente dalla brand identity è una dimensione fluida, che muta continuamente, ed ha un’importanza strategica per l’andamento dell’azienda. I suoi impatti condizionano diversi aspetti del business, dal mercato ai finanziatori, dalle risorse umane alla società stessa, e per periodi di tempo talvolta molto lunghi. Basti pensare alle conseguenze reputazionali che può avere un’azienda del settore alimentare nel caso si verifichi una contaminazione di alcuni prodotti, per cui sarà costretta ad effettuare un recall e ad avvisare tutti i rivenditori e i consumatori. Se mal gestito, un incidente del genere può portare a una perdita di credibilità sul mercato, a un abbandono degli investitori, di conseguenza a una perdita di valore dell’azienda e quindi anche di attrattiva verso la forza lavoro più promettente.
Le eventualità che possono mettere a rischio la reputazione di un’impresa sono molteplici e riguardano praticamente tutte le aree aziendali. “Ogni rischio è in potenza un rischio reputazionale”, spiega Monica Guarnieri, global brand strategy e corporate identity manager di Saipem, intervenuta al 18° convegno annuale di Anra, il 19 e 20 settembre a Milano. “Anche per questo gestirlo è molto difficile” aggiunge “ma non impossibile. Proteggere la reputazione e renderla resiliente si può, ma prima bisogna riconoscere che è un asset fondamentale e va protetto adeguatamente”.
Dal monitoraggio al piano di azione
Il punto di partenza è quindi la consapevolezza, insieme al coinvolgimento del Ceo e in generale dei vertici aziendali. La fase più operativa è quella che prevede il monitoraggio della brand reputation: esistono oggi numerosi tool che tengono sotto controllo costante i social network, i siti e i blog dedicati ai consumatori, e che attivano un alert ogni qualvolta compare in una conversazione una parola chiave ricollegabile a un marchio o a un’azienda. E’ poi compito del crisis communication team decidere quando e come intervenire. “Ovviamente ciò è possibile solo se l’impresa ha un piano d’azione pronto- ricorda Monica Guarnieri - le crisi, per essere gestite al meglio quando si concretizzano, vanno ipotizzate, bisogna prepararsi con largo anticipo al maggior numero di eventualità”.
La crisi come opportunità
Che sia possibile riprendersi da un incidente l’ha dimostrato, solo per citare uno dei casi più recenti, quanto successo alla Samsung con il modello Note 7 alla fine del 2016. Alcuni esemplari del prodotto erano esplosi, causando il ferimento di alcune persone e mettendo in dubbio la sicurezza di tutti i dispositivi della casa sudcoreana. Come risposta, Samsung “ci ha messo la faccia”: ha prontamente avviato il ritiro di tutti i Note 7 sul mercato, ha condotto analisi accurate individuando la causa (un difetto di produzione nella batteria) e aggiornando costantemente i consumatori su quanto scoperto. Non solo: per evitare che in futuro possano verificarsi nuovamente casi analoghi, sottopone ora le batterie ad un test su otto livelli e mette in atto protocolli di sicurezza basati su standard più rigidi. Samsung è riuscita a trasformare una situazione critica, che poteva potenzialmente tradursi in una perdita di reputazione su scala globale, in una leva per porsi sul mercato come un’azienda ancora più attenta alla sicurezza dei clienti. La dimostrazione che il rischio reputazionale, se ben gestito, può essere persino trasformato in un vantaggio.