Verso la quota 100
Anche l’Inps si rinnova in vista della quota 100. Ed adegua, come recentemente annunciato dal presidente Tito Boeri, il suo simulatore online di pensione al ventilato superamento della legge Fornero. Il servizio, intitolato La mia pensione e lanciato nel 2016, sarà inoltre accessibile nei prossimi due anni anche ai 3,3 milioni di dipendenti pubblici che ancora scontano un certo ritardo, a sei anni della fusione fra Inpdap e Inps, nella sistemazione informatica dei loro estratti conto contributivi. L’istituto di previdenza ha poi previsto l’invio di un milione di buste arancioni ad altrettanti lavoratori che non si sono ancora dotati del Pin unico per accedere ai servizi dell’Inps.
Tante novità, dunque. E tutte motivate dalla necessità di diradare le nebbie che ancora gravitano attorno un tema ricco di incognite. A cominciare da una domanda fondamentale: come cambierà la pensione dopo la riforma? Le perplessità, a tal proposito, non mancano. L’Ufficio parlamentare di bilancio, interpellato sulla manovra del governo, ha portato le sue stime preliminari: rispetto all’assegno previdenziale previsto per un lavoratore che con la legge Fornero sarebbe andato in pensione nel 2025, la riforma comporterà un taglio che va dal 5,6% al 34,7%, a seconda che l’uscita dal mondo dal lavoro arrivi con uno o sei anni di anticipo. La decurtazione sarebbe giustificata dai minori anni di lavoro e, di conseguenza, dall’alleggerimento del montante contributivo. Numeri che hanno tuttavia incontrato la secca smentita di Claudio Durignon, sottosegretario al Lavoro, secondo cui “non ci sarà alcuna perdita, bensì un guadagno nell’arco della durata complessiva del pensionamento”.
Incognite che restano, anche alla luce di un iter legislativo che appare più tortuoso del previsto: dopo le parole tonitruanti della campagna elettorale, il Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles si limita a dire che le misure sulla previdenza restano “da definire con legge collegata”. Il vicepremier Luigi Di Maio ha voluto fornire rassicurazioni affermando che non ci sarà “slittamento, collegato o calende greche, la soluzione ce l’ho pronta ed entra in un decreto legge subito dopo la legge di Bilancio”.
Resta poi il nodo delle coperture e quello, strettamente collegato, della tenuta a lungo termine del sistema previdenziale. Sul tema, dopo le parole di fuoco dello scorso luglio, è intervenuto nuovamente Tito Boeri, sollevando il timore che le risorse accantonate dal governo non siano sufficienti a coprire la spesa. “Mancano risorse per il 2020 e il 2021”, ha affermato il vertice dell’Inps. “Secondo le nostre simulazioni – ha aggiunto – costa in alcuni casi un terzo in più e in altri casi addirittura due volte in più rispetto al primo anno”. Il tutto a fronte di coperture che, ha chiosato, resterebbero sostanzialmente stabili nel corso del tempo: “Nella legge di Bilancio è previsto che la dotazione del fondo che paga quelle pensioni sia praticamente la stessa, variando di poche centinaia di milioni euro: 6,7 miliardi nel 2019 e 7 miliardi nel 2020 e 2021”. Timori che si sommano a quelli sollevati dal Fondo monetario internazionale e messi nero su bianco in una recente relazione stilata dall’organismo guidato da Christine Lagarde: la riforma, si legge, “aumenterebbe ulteriormente la spesa pensionistica, imporrebbe pesi ancora maggiori sulle generazioni più giovani, lascerebbe meno spazio per politiche per la crescita e porterebbe a minori tassi di occupazione tra i lavoratori più anziani”. Insomma, il peso della riforma si scaricherebbe principalmente sui giovani. Che non beneficerebbero neppure del presunto aumento di posti di lavoro per le nuove generazioni: “È improbabile – scrive ancora l’Fmi – che l'ondata di pensionamenti crei altrettanti posti di lavoro per i giovani”.