Che fine hanno fatto i capitalisti?
A settembre 2017, secondo i dati di Bankitalia Unimpresa, la ricchezza privata delle famiglie italiane ammontava a 4.290 miliardi di euro. Disponibilità a cui vanno aggiunte quelle detenute da fondi pensione, casse di previdenza, compagnie assicurative e altri investitori istituzionali che operano in Italia. Le risorse per sostenere la crescita dell’economia, dunque, ci sarebbero. Ma i buoni propositi si fermano alle intenzioni. Con il risultato che, in mancanza di altro, 1.200 miliardi di euro restano parcheggiati nei conti correnti e gli investitori istituzionali continuano a prediligere asset come i titoli di Stato.
Cosa manca allora? Forse mancano proprio i capitalisti. E un contesto idoneo a spingere gli imprenditori a fare un salto di qualità. È la tesi alla base del volume L’Italia: molti capitali, pochi capitalisti, scritto da Beniamino Andrea Piccone e presentato il 24 gennaio a Milano presso la Società del giardino. “L’Italia è stata testimone di uno sviluppo economico e sociale che l’ha portata a rivendicare un ruolo di primo piano, non solo economico, negli equilibri mondiali”, ha affermato in apertura Guido Roberto Vitale, banchiere e uomo d’affari scomparso lo scorso 6 febbraio, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche.
Poi però la situazione ha preso una piega diversa, forse inaspettata. L’atmosfera del secondo dopoguerra, che tanto è servita alla crescita imprenditoriale dell’Italia, ha lentamente lasciato il posto alla macchina burocratica, alle lentezze del sistema amministrativo, a consuetudini diventate d'intralcio a un cambiamento sempre più necessario. Fino ad arrivare alla situazione attuale, in cui, secondo il titolare della società Vitale&Co che ha curato la pubblicazione, si manifesta il bisogno di “adeguare chiaramente la forma dello Stato, le sue istituzioni e il modello economico all’esigenza di consolidare e promuovere i notevoli risultati raggiunti negli ultimi 150 anni”.
La necessità di un cambiamento denota la mancanza di un contesto favorevole, come emerso nel corso della tavola rotonda che ha animato la presentazione del volume. Ne è convinto Vittorio Colao, ex amministratore delegato di Vodafone, che ha evidenziato come per fare impresa “ci vuole un mondo attorno”. È stato così fino agli anni ’60, poi è mancato quel contesto che avrebbe forse consentito di passare da semplici imprenditori a capitalisti. Per farlo, ha aggiunto, serve “uno Stato che faccia scelte coraggiose”. A cominciare, ha osservato l’ex magistrato Manuela Romeo Passetti, da un settore strategico come la giustizia. “Attualmente – ha commentato – un processo civile dura media sei anni e mezzo, uno penale più di cinque, e ci sono 3,5 milioni di processi civili ancora pendenti”. Di questi, circa un milione ha un valore compreso fra 50.000 e 100.000 euro.
Chi ha avuto modo di vivere la politica dall’interno, almeno per una parte della sua vita, è l’ex ministro Elsa Fornero. La quale ha ripercorso l’attività svolta nella sua esperienza di governo e sottolineato come sia tempo di “andare oltre gli slogan, dimostrando che il capitale e capitalisti non sono contro il popolo, ma con il popolo”. L’attuale situazione politica, ha aggiunto, “non sembra guardare di buon’occhio il mondo del capitalismo”. Punto evidenziato anche da Alessandro Spada, vice presidente vicario di Assolombarda, sottolineando come il tema dell’imprese, stretto fra reddito di cittadinanza e quota 100, sia di fatto “assente dal dibattito nazionale”.
Qualche colpa, però, ce l’hanno forse anche gli imprenditori stessi. Per Francesco Giavazzi, docente all’Università Luigi Bocconi, nonché autore della prefazione del volume, l’imprenditoria non è stata semplicemente in grado di “passare dalla fase dell’imitazione a quella dell’innovazione”. Pesano poi consuetudini del passato, belle formule ripetute come un mantra quasi per autoconvincersi che funzionano. Come il famoso adagio “piccolo è bello”. Un tempo magari, ma ora, alle porte della quarta rivoluzione industriale, serve qualcosa in più. Come ha affermato Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl, “è necessario che l’imprenditoria alzi il proprio livello”. Altrimenti il passaggio a un capitalismo maturo resterà un’utopia.