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Il rischio nella vita quotidiana

L’innovazione mette in discussione le certezze che sono nelle abitudini di ognuno, e viene interpretata come minaccia o come potenziale miglioramento a seconda delle propensioni individuali. Le quali, a propria volta, dipendono da fattori differenti

L’epoca in cui viviamo è stata definita come società del rischio. Eppure viviamo più a lungo e mediamente meglio di ogni altra epoca precedente: ma allora, perché società del rischio? Il rischio, in effetti, è andato crescendo di pari passo con l’aumento del numero di scelte da compiere quotidianamente, visto che ogni nostra scelta ha a che fare, di fatto, con incognite che con la nostra conoscenza possiamo stimare, cercando di contenere senza riuscire comunque a eliminare. Ma se le scelte riguardano questioni che coinvolgono tecnologie, come sempre più spesso avviene, ecco che la questione verte non solo e non tanto sulle nostre conoscenze e quelle degli stessi esperti, ma soprattutto sulle ignoranze attuali circa le conseguenze che possono scaturirne. Per proseguire, a questo punto, dobbiamo però fare alcune distinzioni.

Rischio, incertezza, pericolo o danno?
Distinguiamo, innanzi tutto, fra scelte condotte in situazioni propriamente d’incertezza o di rischio: mentre nel primo caso, infatti, non possiamo stabilire le eventualità che possono presentarsi né tantomeno stimarne la probabilità, nella seconda possiamo provarci, pur senza arrivare mai a certezze. Una seconda distinzione che è utile fare è tra pericolo e rischio: il primo è legato al possibile danno dovuto a eventi esterni, indipendenti da volontà, come tipicamente è per i pericoli naturali; mentre il secondo è frutto di scelte di qualche attore umano. Dunque, mentre possiamo pensare il pericolo come un attributo “intrinseco” della fonte di pericolo (p.es. il leone costituisce per sua natura un pericolo), il rischio è un costrutto umano, tipicamente sociale (p.es. giocare alla roulette russa è un’azione rischiosa perché è un’azione che mette a rischio la propria vita). Per altro, è ragionevole parlare di rischio sismico o idrogeologico perché, oltre al pericolo di origine naturale, vi è anche l’impatto che scelte umane improvvide possono avere sul danno conseguente (p.es. un terremoto in un deserto non genera danni, finché qualcuno vi si avventura; costruzioni inappropriate in luoghi notoriamente sismici o la mancata manutenzione di letti di torrenti nei pressi di luoghi abitati generano rischio sismico o idrogeologico).
Una terza distinzione più rilevante è fra danno, inteso come rischio tecnico potenziale (dato dal prodotto fra l’entità misurabile del danno e la sua stima di probabilità, p.es. dal numero di feriti di una certa entità), e oltraggio (indignazione suscitata, p.es., dal coinvolgimento dei bambini di una scuola) legato alla percezione che gli individui hanno di quanto quell’evento li offenda (moralmente). Per gli esperti tecnici le questioni di rischio riguardano generalmente il solo danno, mentre per le persone che vi sono esposte si tratta prevalentemente di oltraggio.

La conoscenza rafforza le opinioni
Di qui sorgono molte incomprensioni fra esperti e non esperti, con il risultato che la comunicazione, l’unica via che potrebbe portare ciascuno ad apprendere qualcosa e alla formazione di un consenso ragionevole, può divenire assai problematica. In particolare, non basta informare circa il merito tecnico per dirimere la percezione di oltraggio. L’effetto della conoscenza delle tecnologie sull’atteggiamento verso di esse, infatti, non è né semplice né diretto: in presenza di atteggiamenti forti (pro o contro), un supplemento di informazioni (tecniche) fa a priori crescere tanto il numero di favorevoli quanto quello dei contrari, a solo scapito del numero degli incerti. Con la conseguenza di produrre una radicalizzazione delle posizioni. Ricevere più informazioni su un tema rilevante da chiunque, anche da un esperto, infatti, non significa automaticamente lasciarsi convincere, ma, paradossalmente, avere più argomenti a sostegno della propria posizione (legata a un atteggiamento consolidato), visto che tendiamo sempre a ricercare conferme a quanto già presumiamo (confirmation bias). L’atteggiamento che abbiamo verso il tema specifico, come anche quello verso il nostro interlocutore e il contesto stesso nel quale avviene la comunicazione, spingono a leggere il contenuto informativo del messaggio alla luce dei nostri atteggiamenti preesistenti.

Diverse le percezioni sull’innovazione
Se, dunque, non è sufficiente informare, la comunicazione deve essere più articolata: dobbiamo immaginarla come un ponte verso il nostro interlocutore ed è su questo ponte che ci mettiamo in gioco, disponibili ad andare incontro all’apprendimento reciproco. E la fiducia diviene fondamentale. Venendo più specificamente agli atteggiamenti fondamentali, persone socialmente collocate differentemente sono differentemente disposte verso le innovazioni. Anche se in generale vi è ancora un atteggiamento piuttosto favorevole verso la scienza, la tecnologia e in certa misura verso l’innovazione in generale e possono, per altro, evidenziarsi differenze specifiche tema per tema, l’atteggiamento è tendenzialmente più favorevole nei maschi, al crescere della scolarità e dell’età, e inversamente alla frequenza a riti religiosi e all’abitare distanti dalle grandi città. Si può notare che questi dati sono compatibili con un effetto di sfondo dovuto a quanto ci si sente personalmente “vicini” al centro decisionale dell’innovazione, e quindi a quanto si presume di riuscire a “governarla” se non proprio a trarne benefici, piuttosto che “lontani” e nella condizione di doversi difendere dall’uso che altri potrebbero farne.
Vi sono, però, anche altri fattori ben noti che giocano nel modulare la percezione del rischio e di questi parleremo in un’altra occasione.