Dal 2004 sono scomparsi 43 milioni di ettari di foreste tropicali
Tra il 2004 e il 2017 sono stati distrutti almeno 43 milioni di ettari di foresta pluviale tropicale, le dimensioni di un Paese come l’Iraq. È quanto denuncia un rapporto del Wwf, secondo cui l’immenso patrimonio verde è andato perduto nei 24 principali punti critici della deforestazione in tutto il mondo. Il report dell’organizzazione ambientalista si basa sulle immagini satellitari registrate tra il 2004 e il 2018 nelle regioni più a rischio. La più estesa distruzione è avvenuta nella foresta pluviale amazzonica in Brasile, Colombia, Perù, Bolivia, Venezuela e Guyana, dove sono stati rasi al suolo un totale di 18,2 milioni di ettari. Altre zone deforestate si trovano in Borneo, Paraguay, Argentina, Madagascar e Sumatra, dove peraltro circa la metà delle foreste pluviali in quelle aree era anche gravemente frammentata da strade o terreni coltivabili, rendendole più suscettibili a siccità e incendi.
Le cause della deforestazione
L’agricoltura estensiva, che elimina i piccoli raccolti e l’allevamento del bestiame, e’ la causa principale della deforestazione, soprattutto in Sud America. “Le foreste vengono spesso distrutte per la produzione di soia per l’alimentazione animale, cacao e carne bovina da importare nell’Ue, infatti circa un sesto di tutti i prodotti alimentari commercializzati nell’Unione europea contribuisce alla deforestazione nei tropici”, si legge nel report. Tuttavia, altri importanti fattori individuati dall’organizzazione ambientalista sono anche il settore minerario e le infrastrutture, in particolare le strade, l’industria forestale e l’agricoltura di sussistenza, soprattutto in Africa.
Entrando più nello specifico, dei 24 punti critici della deforestazione globale citati in precedenza, nove sono in America Latina, otto in Africa e sette nell’area Asia-Pacifico. Secondo il documento, queste aree da sole concentrano più della metà (52%) della deforestazione tropicale del mondo. Oltre all’Amazzonia brasiliana e a quella boliviana, tra le aree più colpite ci sono la regione del Cerrado in Brasile, il Paraguay, l’Argentina, il Madagascar e le isole di Sumatra e Borneo in Indonesia e Malesia. La regione brasiliana del Cerrado, ad esempio, è principalmente interessata dallo sviluppo dell’agricoltura, con una perdita di tre milioni di ettari di foreste tra il 2004 e il 2017 e una scomparsa di oltre il 30% della sua superficie forestale totale dal 2000. Inoltre, quasi la metà (45%) delle restanti foreste in queste 24 zone ha subito il degrado o la frammentazione e ora sono più vulnerabili, in particolare agli incendi. “Questo indebolimento – si legge nel rapporto – mette in pericolo gli ecosistemi vulnerabili che le foreste ospitano e quindi gli habitat di molte specie. E favorisce il contatto tra specie selvatiche e umane, e quindi il passaggio all’uomo di malattie di origine animale (zoonosi), come drammaticamente mostrato dalla pandemia di Covid-19”. Anche le foreste sono dei pozzi di assorbimento del carbonio molto importanti, poiché assorbono una grande quantità di gas serra emessi dall’attività umana.
Difendere i diritti dei popoli autoctoni
Il rapporto invita gli Stati e il settore economico a lottare contro la deforestazione, in particolare garantendo i diritti delle popolazioni autoctone. Chiede inoltre alle popolazioni di mettere al bando prodotti che promuovono questo fenomeno, in particolare modificando la dieta verso una alimentazione che utilizza meno proteine animali. "Una cattiva gestione delle foreste mondiali – ha avvertito Marco Lambertini, direttore generale del Wwf – favorisce le emissioni di carbonio, devasta la biodiversità, distrugge ecosistemi vitali e influisce sui mezzi di sussistenza e sul benessere delle comunità locali e delle società in generale”.