La marea nera che ha raggiunto spiagge di Israele
La stampa locale lo ha definito come il peggiore disastro ecologico degli ultimi decenni. Parliamo della marea nera che a partire da metà febbraio, ha iniziato minacciare le spiagge di Israele. Il ministero dell’Ambiente ha spiegato che decine di tonnellate di greggio sono fuoriuscite circa due settimane fa da una nave che era oltre le acque territoriali di Israele. Si presume che la quantità di combustibile riversatasi in mare sia nell’ordine delle decine di tonnellate.
Il 3 marzo la ministra dell'Ambiente, Gila Gamiliel, ha detto che il governo israeliano individuato la nave responsabile del disastro. In un breve testo su Twitter, la ministra ha scritto: “abbiamo messo le mani sulla nave colpevole. La nostra lunga mano raggiungerà chiunque arrechi danno alla nostra natura, in mare o sulle nostre coste”. La ministra non ha fornito alcun elemento sulla nazionalità della nave in questione. Le investigazioni stanno procedendo nel più stretto riserbo, tanto che un giudice ha imposto il silenzio stampa sui dettagli dell’indagine. Il giorno precedente, in un altro testo su Twitter, Gamliel aveva affermato che Israele è giunto alla conclusione “l'inquinamento è stato compiuto con malevolenza: o la nave ha riversato intenzionalmente in mare il liquido oleoso - ha scritto la ministra - oppure esso è fuoriuscito per un guasto, ma poi il proprietario non ha avuto alcuna compassione verso la natura e non ha avvertito le autorità”.
La dimensione del disastro
Secondo gli ultimi dati, finora sono stati raccolti sulle coste oltre 70 tonnellate di catrame. Le tracce di inquinamento sono state rilevate in tratti di spiaggia in tutto il litorale dal confine col Libano a quello con Gaza, per 180 chilometri complessivi. Dopo un sopralluogo del premier Netanyahu, il governo ha proclamato la chiusura fino a nuovo ordine di tutta la costa di Israele. Vietato bagnarsi, e proibiti anche campeggi e sport.
Quantità di liquido oleoso, più o meno grandi, sono state rinvenute su diversi tratti del litorale, dall’estremo Nord fino a Sud del paese, per una distanza complessiva di 170 chilometri. Alcune tartarughe marine coperte di una sostanza viscida nera sono morte. A riva, è stato trovato anche un giovane cetaceo morto.
Ma i danni ambientali, anche per il fondale marino, sono ingenti e secondo le stime richiederanno anni di impegno per essere riparati. Migliaia di volontari si sono mobilitati per ripulire almeno le spiagge da quantità di catrame. Ma hanno affrontato solo una parte del problema. Secondo una studiosa dell’Università di Haifa, Ilana Berman, l’esperienza del Messico insegna che dopo incidenti di tale portata anche molti anni di sforzi non bastano per riportare l'ambiente naturale alle condizioni originali.
Inoltre Israele deve considerare le ripercussioni sulla qualità dell’acqua. Necessariamente la vicenda coinvolge infatti gli impianti di desalinizzazione in mare che garantiscono al Paese il 70% delle sue necessità. Il ministero della Sanità israeliano, inoltre, ha bandito con effetto immediato, e fino a nuovo ordine, la vendita al pubblico di pesci e frutti di mare del Mediterraneo.
La querelle con gli ambientalisti
La vicenda, come era inevitabile, ha riaperto un conflitto permanente fra ambientalisti e governo. I primi hanno denunciato l'anno scorso l'installazione vicino alla costa di una grande rampa per la estrazione di gas naturale (che pure rappresenta un pericolo per l’ambiente) e il mese scorso hanno protestato contro la firma di un contratto con gli Emirati Arabi Uniti relativo al transito di quantità molto elevate di petrolio nella 'Europe-Asia Pipeline (Katza’à, in ebraico) fra Eilat, sul Mar Rosso, e Ashkelon, sul Mediterraneo. Si tratta di un progetto da 700 milioni di dollari in otto anni relativo al transito annuale del contenuto di decine di petroliere. “Anche un incidente minore - hanno avvertito 250 scienziati in una petizione – rischia di provocare danni irreparabili alla barriera corallina di Eilat”. Nel 2014 una fuga di greggio dalla pipeline di Katza’à (allora sotto un'altra gestione) provocò in una riserva naturale del Neghev un disastro ambientale che ancora non è stato superato. Alla luce adesso della traumatica chiusura di tutte le coste mediterranee di Israele, affermano gli ambientalisti, occorre almeno annullare l’accordo con gli Emirati.