Un mondo interconnesso e disordinato
Il Global risk report 2018 è la 13° edizione dell’annuale analisi realizzata dal World Economic Forum per offrire una prospettiva dei rischi più probabili e a più elevato impatto nei prossimi dieci anni, elaborata sulla base delle risposte di esperti in tutto il mondo. Confermando una tendenza già rilevata negli anni passati, evidenzia un crescente livello di incertezza: il 59% degli intervistati si aspetta un incremento dei rischi, solo il 7% una loro diminuzione. Una situazione imputabile principalmente alle tensioni geopolitiche, anche se le minacce ritenute più probabili e impattanti riguardano i cambiamenti climatici e l’area della tecnologia e dell’innovazione.
Lo scenario e i fattori di rischio
L’economia mondiale mostra segnali incoraggianti che suggeriscono la fine della peggiore crisi finanziaria dal secondo dopoguerra a oggi. Il tenore di vita nei Paesi avanzati, nonostante il periodo difficile degli ultimi dieci anni, è a uno dei livelli più alti della storia moderna. L’accelerazione dell’innovazione e dell’interconnessione in tutti i campi dell’attività umana sta però raggiungendo una velocità che, sempre più spesso, le istituzioni, le comunità e gli individui stessi sembrano non riuscire più a metabolizzare. Le infrastrutture e gli schemi attuali non tengono il passo con la rapidità di questa evoluzione, e ciò rappresenta un alto fattore di rischio. Sono sfide sistemiche che interessano i campi economico, tecnologico, governativo, ambientale, e si affiancano a una serie di problemi locali: una combinazione di fattori di rischio che non può essere affrontata con successo agendo singolarmente, ma richiede collaborazione tra gli Stati, le imprese, i cittadini.
Il “disordine” geopolitico
Il 93% degli esperti si aspetta un inasprimento del confronto politico ed economico tra le principali potenze mondiali, e l’80% prevede un inasprimento dei rischi direttamente correlati. La crescita delle tendenze populiste e dei governi basati sulla forte personalità di un singolo sta esasperando in molti Paesi la divisione sociale e spingendo in direzione di un ritorno dei nazionalismi. Aumentano gli accordi bilaterali tra Stati, che indeboliscono l’ordine basato su organizzazioni sovranazionali, regole e alleanze, consolidato negli ultimi decenni. Questa sovversione colpisce particolarmente i Paesi più piccoli, che riescono a proliferare quando l’ambiente geopolitico mantiene una stabilità, e rischiano di crollare quando non possono più fare affidamento sulle alleanze politiche e strategiche. E’ uno scenario di cambiamenti rapidi, che mettono una forte pressione sulla capacità che istituzioni e sistemi hanno di metabolizzarli e gestirli, incrementando il rischio di uno shock globale.
Il problema climatico è una minaccia sistemica
I rischi legati all’ambiente sono la principale preoccupazione, e occupano ben tre dei primi cinque posti. Gli eventi meteo estremi, la perdita di biodiversità, i disastri naturali e quelli causati dall’uomo, così come il fallimento nel tentativo di contenere le conseguenze dei cambiamenti climatici sono tutte problematiche considerate prioritarie dagli esperti, sia in termini di probabilità che di danni potenziali. La sfida maggiore deriva dalla stretta connessione che esiste tra questi rischi e altri, come la crisi idrica, i flussi migratori, l’esistenza stessa delle infrastrutture su cui si basa la sopravvivenza di un Paese, come hanno dimostrato le conseguenze dei tre grandi uragani che hanno colpito gli Stati Uniti nel 2017. La previsione è che possa peggiorare anche il problema alimentare: oggi a livello globale più del 75% del cibo è prodotto con dodici piante e cinque specie animali. Il rischio derivante da una così ristretta biodiversità è enorme: le Nazioni Unite hanno stimato un’alta probabilità che la combinazione di surriscaldamento globale, siccità ed eventi meteorologici estremi possano portare nel prossimo decennio ad un crollo nella produzione di mais dei due principali coltivatori mondiali (Cina e Stati Uniti), causando un’improvvisa carenza alimentare globale e carestie nei Paesi più poveri, che hanno meno accesso a mercati alternativi.
La tecnologia, tra progresso e incognite
Rispettivamente al secondo e terzo posto della classifica si trovano gli attacchi informatici e la vulnerabilità dei dati. La velocità dello sviluppo tecnologico genera sfide sempre più correlate tra loro: il possesso di un grande quantitativo di informazioni da parte di un ristretto numero di aziende tecnologiche genera importanti interrogativi in termini di privacy e di autonomia personale. Dal punto di vista della cybersecurity, gli attacchi stanno diventando sempre più frequenti e intensi: WannaCry ha colpito 300 mila computer in 150 Paesi, mentre NotPetya ha causato alle imprese danni per non meno di 300 milioni di dollari. Cresce inoltre la tendenza a colpire infrastrutture critiche e settori industriali strategici, evidenziando un possibile rischio, in casi estremi, di possibili blocchi nel funzionamento normale delle società e delle organizzazioni. Generalmente gli esperti concordano nel sostenere che, nonostante le inevitabili difficoltà nella fase di adattamento, questa “quarta rivoluzione industriale” alla fine porterà soprattutto benefici. Lungo la strada andranno però affrontati alcuni problemi. Uno di quelli citati più frequentemente deriva dall’interconnessione tra il progresso tecnologico e la disoccupazione: la progressiva automatizzazione dei processi più meccanici diminuirà la ricerca di personale poco qualificato, fino ad arrivare alla necessità di una revisione del sistema professionale e conseguentemente di quello formativo, per poter ricollocare la forza lavoro sostituita dalle macchine.
Rischi non convenzionali
La sezione finale del report offre un aggiornamento su alcuni rischi particolari: la resistenza agli antibiotici, la disoccupazione giovanile e le fake news. Il primo problema ha cominciato a comparire nelle analisi del Wef nel 2013, come combinazione di due tendenze globali: l’abuso di antibiotici, nel campo della salute umana e anche nell’allevamento degli animali, e il fatto che i farmaci sono sostanzialmente gli stessi dagli anni ’80, per cui gli organismi vi si stanno adattando e la loro efficacia diminuisce. Dal 2013 ad oggi il potenziale impatto economico di questo problema sul Pil globale è passato dallo 0,4% all’1,6%. La questione della “generazione persa” ha invece cominciato a comparire in agenda nel 2014, come rischio derivante dalla crisi finanziaria. Il modello economico degli ultimi decenni ha lasciato in eredità un ambiente in cui prevalgono l’instabilità degli impieghi, la disconnessione tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro, un sistema previdenziale con poche garanzie, tutti elementi che non permettono progetti a lungo termine. Il tasso di disoccupazione giovanile non ha seguito il trend positivo dell’economia ed è rimasto sostanzialmente allo stesso livello del 2014, un segnale che suggerisce il bisogno di riforme più strutturali. Il termine fake news è diventato virale ben prima del referendum sulla Brexit e delle elezioni americane (due dei contesti in cui si è più dibattuto sull’influenza che questo tipo di comunicazione ha avuto). Le problematiche principali riguardano il crescente pericolo di disinformazione, soprattutto tramite i social media, e la difficoltà di correggerla quando raggiunge fonti ritenute attendibili. Gli effetti che questo può avere sono stati lampanti proprio in occasione dei due eventi sopra citati: secondo una statistica riportata da Buzzfeed, sito d’informazione americana, nei tre mesi immediatamente precedenti l’elezione presidenziale la circolazione di fake news online è aumentata del 53% rispetto al trimestre precedente. Per mitigare il fenomeno sono allo studio diverse soluzioni, che vanno da un registro di attendibilità delle fonti a un maggiore controllo da parte delle piattaforme su cui le notizie vengono diffuse e condivise dagli utenti.