Un disastro ambientale va avanti da 15 anni
Sono 15 lunghi anni che nel Golfo del Messico, in acque statunitensi, va avanti un disastro ambientale a bassa intensità. Una lenta ma costante dispersione di petrolio nel mare va avanti dal 2004, quando al largo della costa della Louisiana affondò una piattaforma di estrazione di proprietà della Taylor Energy company, a seguito del passaggio dell’uragano Ivan, che ha colpito il Golfo del Messico. Si pensava che la perdita fosse stata fermata. L’azienda proprietaria, che non è ormai più completamente operativa, sostiene che la fuoriuscita di petrolio ancora in corso sia di modesta entità: fino a 15 litri al giorno. Ma un nuovo studio federale realizzato da National oceanic and atmospheric administration e dall’Università della Florida traccia uno scenario molto più inquietante: la perdita varia dai 1.400 ai 17mila litri di petrolio ogni giorno.
Il rapporto, pubblicato la scorsa settimana ha anche contraddetto le asserzioni della Taylor energy company sulla provenienza del petrolio. Il fascio di tubi e pozzi che nel 2004 è crollato depositandosi sul fondo dell’oceano è stato parzialmente sepolto sotto fango e sedimenti. Per rispondere alla perdita, nel 2008 Taylor Energy ha cercato di tappare nove dei pozzi in dotazione, e ha posto delle cupole di contenimento su altri tre pennacchi.
Ma dopo che alcuni attivisti locali hanno osservato diverse chiazze di petrolio vicino al sito di Deepwater Horizon Spill nel 2010, la marea nera ha iniziato ad attirare l’attenzione nazionale. E lo scorso maggio, la Guardia costiera degli Stati Uniti ha installato un sistema di contenimento che ha raccolto 30 barili, o circa 4.700 galloni, al giorno per aiutare a catturare il pretrolio che continua a fuoriuscire nell'oceano.
Taylor Energy ha ormai venduto le sue attività nel petrolio e gas, e ha cessato la produzione e le trivellazioni nel 2008. L’azienda comunica attraverso il proprio sito web (che esiste esclusivamente per rispondere allo sversamento) e sostiene che la perdita sia contenuta e che le chiazze di materiale oleoso che periodicamente affiorano dal fondale siano dovute ad alcuni sedimenti, impregnati di petrolio, che si sono formati intorno a quel che resta della piattaforma.
Lo studio del governo federale la pensa diversamente. Intervistato dalla Cnn, Andrew Mason, uno degli autori dello studio, sostiene che in realtà il combustibile “proviene dai serbatoi e dalle condutture petrolifere, non dal rimanente petrolio sul fondo dell’oceano”.
Per raggiungere tale determinazione, gli scienziati hanno raccolto campioni da sotto la superficie dell’oceano usando due metodi. Precedenti studi avevano utilizzato campioni di chiazze di petrolio sulla superficie dell’oceano o misurazioni effettuate volando sopra al sito. Ora invece, usando un dispositivo acustico, gli scienziati hanno stimato che da 9 a 47 barili, vale a dire dai 1.400 ai 7mila litri di petrolio, fuoriescono ogni giorno. Un altro dispositivo chiamato bubblometro ha fatto una stima ancora più catastrofica, tra 19 e i 108 barili, cioè da circa 3.000 a 17mila litri al giorno.