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Climate change, la scienza del possibile

Il cambiamento climatico deve entrare nel supporto alle decisioni: è essenziale che istituzioni e privati abbiano nei propri piani di adattamento la conoscenza degli effetti. La buona notizia è che oggi abbiamo già tutti gli strumenti e le tecnologie per farlo, ma è cruciale che, contemporaneamente, si attuino le politiche per la mitigazione

Lo scorso venerdì 3 marzo, Fridays for Future, il movimento nato sulla spinta dell’attivista svedese Greta Thunberg, aveva lanciato la sua nuova giornata di sciopero globale per il clima, sulla scia di quelle organizzate nel 2018 e nel 2019, e che avevano portato all’attenzione del mondo proprio la figura di Thunberg dando una scossa al dibattito globale sul cambiamento climatico, dopo la svolta (teorica) della Cop21, la conferenza sul clima di Parigi, del 2015. Gli attivisti, soprattutto liceali, universitari e giovani adulti, hanno moltiplicato in questi anni le azioni dimostrative (dagli assalti simbolici con vernice lavabile agli imbrattamenti di opere d’arte nei musei) con l’aggravarsi della crisi ambientale, eppure i vari gruppi ambientalisti stanno facendo più fatica a mobilitare le masse e a trovare una strategia che consenta loro di essere più efficaci, in un contesto in cui le manifestazioni tradizionali si sono progressivamente svuotate.
Difficile dire cosa significhi questa tendenza, tanto più che di cambiamento climatico, di sostenibilità, di riscaldamento globale se ne parla sempre di più e le élite politiche, intellettuali e produttive, pur con mille distinguo e ambiguità, stanno cercando soluzioni concrete, a partire dagli accordi internazionali, per arrivare alle regolamentazioni capaci di cambiare davvero le cose.

 
Finalmente il piano nazionale

A livello europeo, la questione climatica è al centro dell’agenda politica: come noto, il Green Deal, uno degli atti più importanti licenziati dalle istituzioni comunitarie, che prevede il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, pone l’Unione Europea all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico.
A livello locale, in Italia, un importante passo è stato compiuto con il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, uno strumento di programmazione necessario la gestione del territorio e la realizzazione delle opere di adattamento delle varie aree del paese, dalle città alle campagne, dalle zone montuose a quelle interne, fino alle coste. Il piano fornisce un quadro di indirizzo per ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, soprattutto in relazione agli eventi estremi, che una volta erano rari, e che invece ora sono diventati comuni.

La chiave è l’adattamento

“Alcune misure contenute nel piano, tuttavia, vanno già riviste alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni”, spiega Marina Baldi, climatologa dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr. “Se pensiamo al livello del mare, ogni regione dovrà declinare il piano a seconda delle proprie necessità e, in più, noi oggi conosciamo molte più cose sull’argomento, rispetto a cinque o dieci anni fa”. Per esempio, sono state segnalate zone più a rischio rispetto ad altre: dalla laguna di Venezia al golfo di Cagliari o a Oristano, al basso Lazio, o ancora alcune aree costiere dell’Adriatico. Le informazioni in nostro possesso sono sempre più granulari: “abbiamo diverse situazioni che oggi necessitano di un piano di adattamento specifico”. Il piano naturalmente guarda un po’ a tutto: dal mantenimento dei beni culturali, i monumenti, i siti archeologici, ma anche le foreste, la biodiversità.


A livello europeo, la questione climatica è al centro dell’agenda politica


Le variabili locali

Uno degli attori principali in questo ecosistema è il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Paola Mercogliano, responsabile della divisione di ricerca modelli regionali e impatti geo-idrologici del Cmcc, spiega quanto sia importante nello studio del riscaldamento globale, e di conseguenza delle azioni di mitigazione, saper agire a livello locale, perché ogni territorio ha le sue caratteristiche ed è esposto in maniera diversa a rischi diversi. Nell’area mediterranea, l’innalzamento della temperatura è la minaccia principale. Sull’Italia, il fenomeno impatterà, oltre che sulla salute delle persone, su tre settori principali: agricoltura, infrastrutture e turismo. “Ma quando si declina l’analisi a livello locale, delle comunità, potrebbero emergere criticità che non sono necessariamente quelle citate”.

 
La realtà ha lavorato bene

È urgente avere nei propri piani decisionali la conoscenza degli effetti del cambiamento climatico e dal punto di vista dell’adattamento ci sono tutti gli strumenti e le tecnologie. Un global warming previsto tra un grado e un grado e mezzo può essere gestito, ma se si parla di tre o quattro gradi, precisa Mercogliano, “allora c’è un limite all’adattamento, ecco perché è essenziale che contemporaneamente si attuino le politiche per la mitigazione.
Il cambiamento climatico è un elemento che deve entrare nel supporto alle decisioni. “La realtà – conclude la responsabile del Cmcc – ha lavorato molto bene: le persone iniziano a richiedere soluzioni concrete e questo mi dà fiducia sulla risposta alle esigenze della società e di tutti”.


L’INCUBAZIONE LUNGA

La declinazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici su scala locale presenta delle eccellenze. Marina Baldi, climatologa dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr, cita, per esempio, il Piano di adattamento dell’Emilia Romagna e nello specifico di Bologna, che definisce “all’avanguardia”. In quel solco si stanno muovendo molte aree metropolitane, come quella di Roma. “Come la pandemia, l’emergenza climatica è stata un problema invisibile, con un’incubazione lunga, ma oggi ne sappiamo molto di più, sappiamo rispondere, conosciamo le soluzioni: a tutti i livelli si è lavorato molto, dal globale, fino al locale”, sottolinea Baldi.


 DECISIONI NON CALATE DALL’ALTO

Il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, una volta analizzate le criticità locali, suggerisce ai decisori politici e ai partner privati, aziende ed enti responsabili, le misure (hard o soft) per limitare l’impatto del cambiamento climatico su quella specifica comunità. “L’adattamento, però – spiega Paola Mercogliano, responsabile della divisione di ricerca modelli regionali e impatti geo-idrologici del Cmcc –, non può essere calato dall’alto, va concordato con chi vive il contesto locale: strumenti diversi hanno costi diversi e accettazioni sociali diverse”. Quando si parla di spostare fisicamente persone, perché in quel determinato punto sono in pericolo, l’ultima parola spetta a chi decide su quei territori che ha avuto, però, tutte le informazioni fornite dalla comunità scientifica.